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Moda e Fast Fashion, come comprare sostenibile

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Prima di capire di cosa stiamo parlando quando parliamo di Fast Fashion vorrei solo darvi un paio di dati: ottanta miliardi di abiti prodotti ogni anno, sessantamila tonnellate di vestiti vengono scartati ogni anno e di questi solo il 15% sono di seconda mano. Tolti quelli che finiscono sui banchi dei mercati restano circa quarantamila tonnellate, che finiscono nelle discariche.

Vi sembra sostenibile?

Per Fast Fashion si intende quel business model secondo cui si arriva a produrre fino a decine di collezioni l’anno (non erano sufficienti primavera-estate ed autunno-inverno?) di abiti di bassa qualità e alto impatto ambientale, progettati per durare pochi lavaggi in lavatrice, così da poter rinnovare in maniera spasmodica il proprio guardaroba. Abiti realizzati prevalentemente in quelle zone del mondo a basso reddito, con alta percentuale di minorenni esposti a prodotti chimichi non propriamente salutari, per qualche dollaro al giorno.

Vi sembra sostenibile?

Torniamo al problema rifiuti. La maggior parte di questa tipologia di abbigliamento è prodotta con prodotti sintetici, come il poliestere, che impiega fino a 200 anni per degradarsi e producono quelle famigerate microplastiche che finiscono dalle nostre lavatrici fino al mare, che poi le mangiano i pesci, che poi li mangiamo noi. E quelli che non si degradano finiscono inceneriti, ma tanto le discariche sono lontane…

Vi sembra sostenibile?

Per non farci mancare niente, la produzione industriale del cotone prevede quantità di acqua e pesticidi in quantità paragonabile ai follower di Beyoncé, per non parlare dell’impatto delle tinture dei tessuti nei fiumi e nei mari… che tanto sono grandi…

Vi sembra sostenibile?